Il 21 febbraio scorso, abbiamo consegnato la valigia numero 52 all’unico carcere minorile femminile d’Italia, a Pontremoli, accompagnate dalla professoressa Chiara Fecci e da coloro che hanno ideato il progetto della “Valigia di Marco e Anna”, cioè Anna e sua madre, Chiara Cacciani. Il progetto è nato in ricordo del papà di Anna, Marco, che era un giornalista proprio come Chiara, scomparso qualche anno fa.
La direttrice del carcere e le sue collaboratrici ci hanno accolto con cordialità; con loro siamo entrate in una stanza colorata, nella quale era stato allestito un tavolo ovale con bevande e sfiziosità di ogni genere, preparate per fare merenda insieme a otto giovani detenute.

Prima di questa merenda in compagnia abbiamo avuto l’occasione di conoscere le ragazze e di spiegare loro il progetto, aprendo la valigia e mostrando i giochi da tavolo scelti per loro, perché possano usufruirne e passare le giornate in modo alternativo e creativo. I giochi in questione sono stati acquistati grazie alla vendita di alcune piantine coltivate a scuola dalla classe 3F. Dopo aver osservato i giochi, ci hanno ringraziate, facendoci capire di aver gradito il nostro dono: si sono stupite che fossero nuovi, ancora incelofanati, pensati proprio per loro. Si sono meravigliate che anche la valigia che li conteneva era loro e che non dovevano restituirla. Hanno iniziato, quindi, a parlare tra di loro anche in lingua francese e poi ci siamo recate nello spazio esterno alla struttura, a loro dedicato per concedersi un momento in cui, ad esempio, poter fumare. Prima di rimetterci in viaggio, ci siamo concessi quella merenda preparata per noi sedute al tavolo tutte insieme come ultima occasione prima di salutarci.
Noi siamo grate per aver avuto la possibilità di partecipare a questa iniziativa in rappresentanza della nostra classe e delle altre che hanno aderito al progetto. Siamo grate di aver potuto osservare una realtà così diversa dalla nostra quotidianità. Questa esperienza è stata significativa anche a livello personale: abbiamo capito che dobbiamo cercare sempre di migliorare e ci siamo emozionate in quanto si trattava di nostre coetanee, con un viso e un modo di presentarsi simile al nostro, che però hanno commesso errori e quindi ora si ritrovano a non poter vivere la loro adolescenza al di fuori di quelle mura, come invece possiamo fare noi o come semplicemente possono fare i nostri compagni di classe.
Infine, quando una ragazza detenuta ci ha lasciato un biglietto con una frase che le sta a cuore: “c’est pas facile, ma passerà come è passato tutto”, abbiamo compreso pienamente che la speranza di poter rimediare ai loro errori non ha abbandonato queste giovani donne; speranza che è emersa anche dai sogni che vorrebbero realizzare in futuro di cui ci hanno parlato, come ad esempio il voler diventare infermiera, psicologa o parrucchiera. Anche grazie a questa esperienza abbiamo capito che non bisogna basarsi solo sui pregiudizi diffusi nella società, ma bisogna pensare che ognuno di noi è un insieme di difetti e pregi e che se si guarda oltre gli sbagli possiamo vedere la persona, con i suoi obiettivi e i suoi sogni da realizzare. Incontrare queste ragazze ci ha permesso di non fermarci all’apparenza e al reato commesso, ma di riconoscerle con la loro personalità e il loro bisogno di futuro.
STEFANIA AMOABENG, ARIANNA FINARDI

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