Parole che mancano. Parole che si ritrovano. Parole, silenzi, gesti…

“Mute d’Accento” è tutto questo e molto altro.
Sabato 15 ottobre, la classe 5F, accompagnata dalla docente Cristina Lambertini, ha assistito alla rappresentazione teatrale intitolata “Mute d’accento”, curata da Festina Lente Teatro e Vagamonde, nell’ambito della rassegna Verdi Off 2022.
La partecipazione era stata preceduta da una conversazione filosofica con la prof.ssa Angela Marchetti, nella quale studenti e studentesse hanno potuto riflettere sui segni concreti del potere rispetto alle differenze di genere e sul “peso” del potere sulle donne, ma anche delle donne. Dice Emma:
“Mute d’accento” si sofferma sull’importanza delle parole. ‘Potere’ è la parola chiave: il potere che gli altri hanno su noi donne, il potere che noi stesse abbiamo sulle altre, ma anche “Io posso. Noi possiamo” .
L’attenzione alle parole inizia già dal titolo, nel quale il significato della parola ‘muta’ è polisemico. Nella celebre aria verdiana del Rigoletto, la donna “è mobile… muta d’accento e di pensier”: muta perché non ha pensieri o parole per esprimere il proprio mondo. Non è capace? Non vuole? O piuttosto usa parole “altre”?
Nello spettacolo, il femminile parla, parla con le azioni, parla con il proprio linguaggio, parla con il potere delle proprie parole da troppo tempo inascoltate nella quotidianità.
‘zitta’ è una parola che si è impressa nella mia memoria  (Matilde): una parola di oppressione, di dominio, di scelta, di resa, di chi nasconde nel silenzio la forza? Martina cita Gianrico Carofiglio
 “Quello che succede davvero è nascosto tra le pieghe delle parole e soprattutto nei gesti. Ed è diverso da quel che ci appare. Solo che l’attore ne è consapevole e controlla il processo” per commentare un’esperienza teatrale che, continua la studentessa, “ci ha messo nella posizione di cercare tra le righe il senso di tutto, immergendoci in una situazione in cui i gesti valgono davvero più di mille parole.
mute accento -parole
Molto apprezzata è stata la disposizione della scena che ha posto su un unico piano spettatori e attrici, in modo suggestivo, chiamando lo spettatore ad una immersione completa. Lo spazio per il pubblico era ridotto, non c’era il palco: l’azione scenica coinvolgeva e in certi momenti travolgeva quasi fisicamente, per dare forza e spessore al messaggio.
Tra i momenti di maggiore intensità, la scena dei “cuscini”:
Ho avuto i brividi, quando le donne hanno colpito i cuscini con il battipanni, in modo violento…un atto di normalità utilizzato come metafora di rabbia che le donne hanno tenuto dentro nei confronti degli stereotipi associati a loro per anni” (Eleonora S.) ….  la violenza usata rispecchiava la forza e la violenza degli effetti dello stereotipo sulle donne. (Rebecca P.)
Uno spettacolo certamente apprezzato per le riflessioni che accende, anche se non sempre semplice ed immediato:
un progetto d’impatto che denuncia tutti gli stereotipi di genere.” (Giulia P.)