…e tutti vissero iperconnessi e contenti!
Martedì 14 febbraio, con i miei compagni di 3E, abbiamo partecipato all’incontro in streaming “…e tutti vissero iperconnessi e contenti. Consigli per un uso consapevole del web!” con la partecipazione del dottor Matteo Lancini, psicologo-psicoterapeuta e presidente della Fondazione “Minotauro”, moderato dal giornalista del Corriere della Sera Massimo Sideri. Il focus del dibattito riservato alle scuole superiori di tutta Italia si è concentrato sulla possibilità di un rapporto consapevole e sano con il web.
La rete, i social e i videogiochi fanno indiscutibilmente parte della nostra quotidianità e hanno prodotto un impatto molto forte sul nostro stile di vita, modificando i nostri comportamenti, le nostre abitudini e relazioni. L’integrazione tra vita reale e vita virtuale presenta aspetti sia positivi e grandi opportunità, ma anche aspetti negativi a cui dobbiamo prestare attenzione. Tanto che le nostre famiglie, piene di dubbi sul rapporto dei figli con internet e con i social, non sempre riescono a proteggere la nostra crescita in un contesto così poco monitorabile. I rischi principali sono molti e noti a tutti: dipendenza dai social, distrazione continua, rappresentazione filtrata e falsata della propria immagine, cyberbullismo.
E’ possibile, allora, avere un rapporto sano e consapevole con questi mezzi, prendendo quanto offrono di buono senza rimanerne travolti? Quali regole dovrebbero ispirare la vita on line? E non ultimo, come proteggersi dai pericoli della rete? L’imposizione di limiti e regole, cercando a tutti i costi di controllare le azioni degli adolescenti non sembra eliminare i rischi che la rete inevitabilmente prevede, solo la comprensione empatica e la responsabilizzazione possono promuovere nei ragazzi decisioni e comportamenti ragionevoli, rispettosi di sé, dell’altro e del senso civico. Pertanto ci vorrebbe un svolta educativa che, basandosi sul dialogo, l’ascolto e il confronto riesca a mediare tra la divinazione e la condanna del mezzo social. Ad esempio il contesto mutato dalla guerra ci obbliga a partire dal modo in cui i genitori di figli piccoli o adolescenti devono raccontarla ai loro figli, tra immagini televisive e quelle che vengono dai social.
C’è un’emergenza educativa da tanti anni: è il processo di anticipazione, di precocizzazione delle esperienze dell’infanzia. Molto spesso noi cresciamo bambini iper relazionali, che in quinta elementare devono conoscere tanti di quei coetanei quanti ne frequentavo io all’ultimo anno di università. Pensiamo di educare i figli togliendogli molti ostacoli, in una nuova famiglia affettiva, quindi ci aspettiamo che così siano felici e contenti. Invece con l’arrivo dall’adolescenza ci accorgiamo che ovviamente esistono dei compiti evolutivi nuovi. Allora gli diciamo che sono fissati con le relazioni e che questo è tutto sbagliato, perché adesso è arrivato il momento di chiudersi in una stanza, soffrire in silenzio e domani ripetere quello che qualche insegnante vuole sentirsi dire. Loro invece non vedono l’ora di andare avanti con questi modelli relazionali ai quali li abbiamo forgiati. Così non funziona, si crea un corto circuito. Riapriamo i cortili e i giardini, obblighiamo i figli ad andare da soli a scuola. E allora vedrete, vedremo se è internet il vero male. Li abbiamo messi sotto sequestro noi, non il cellulare. Li consegniamo a un asilo nido dai sei mesi e poi mettiamo il loro corpo sotto sequestro. Non sono stati quelli della Silicon Valley, non è stato l’inventore di Fortnite, Call of Duty, GTA 5 o Assassin’s Creed o Tik Tok a scrivere “vietato il gioco in cortile”, a impedire ai bambini di tornare a casa da soli. La virtualizzazione delle esperienze è frutto dell’angoscia di noi adulti, che abbiamo chiuso cortili e giardini, sequestrato il corpo dei figli in nome della prevenzione dei pericoli e di ogni possibile impedimento. E guarda caso l’attacco al proprio corpo è proprio la modalità elettiva attraverso la quale oggi l’adolescente esprime il proprio disagio.
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